16 Luglio 2010 di Mezzapelle Vito
Negli ultimi anni il problema della qualità è divenuto assai pressante nei processi di trasfomazione delle materie prime ed in particolare nella elaborazione degli alimenti. La sempre maggior attenzione che il consumatore pone nella scelta di ciò che acquista ha stimolato la ricerca nel settore alimentare verso l’individuazione di tecnologie e prodotti in grado di garantire un’elevata sicurezza d’uso dell’alimento.
Nel comparto enologico, in particolare, l’attenzione si è accentrata sull’anidride solforosa che, se da un lato presenta notevoli ed indiscutibili vantaggi tecnologici dovuti alla sua azione antiossidante, antiossidasica ed antisettica, dall’altro risulta essere caratterizzata da rilevanti problemi igienico-sanitari. Essa, infatti, superati certi limiti, può esercitare sull’uomo un’azione fortemente tossica e ciò ha portato nel 2005 a renderne obbligatoria l’indicazione in etichetta qualora il suo contenuto nel vino superi i 10 mg/L. Attualmente i limiti massimi di anidride solforosa consentiti dall’Unione Europea sono di 200 mg/L per i vini bianchi secchi e di 175 mg/L per i rossi secchi e la sua eliminazione totale dai protocolli di vinificazione potrebbe sembrare ancora un traguardo lontano.
In realtà, dal 2001 l’Unione Europea ha autorizzato l’impiego del lisozima, un enzima estratto dal bianco d’uovo di gallina, il quale può coadiuvare l’anidride solforosa all’interno del processo di vinificazione. Il lisozima è dotato di una attività muramidasica che provoca la disgregazione della struttura della parete cellulare dei batteri gram positivi, quali sono i batteri lattici. Largamente impiegato nell’industria casearia già dal 1985, all’inizio degli anni 90 è divenuto oggetto di ricerche anche nel campo enologico. Nel corso di queste ricerche, effettuate principalmente in Italia, Francia e Stati Uniti, sono state messe a punto diverse applicazioni, finalizzate essenzialmente al controllo della fermentazione malolattica ed alla stabilizzazione microbiologica del prodotto, così da preservarne la qualità organolettica. A differenza dell’anidride solforosa, il lisozima non è in grado di svolgere un’attività anti-ossidasica, perciò il suo impiego in vinificazioni a ridotto od anche nullo impiego di SO2 deve essere oculato ed associato all’utilizzo di ulteriori tecniche in grado di contenere l’aspetto ossidativo e preservare la frazione polifenolica che rappresenta una parte preponderante del patrimonio organolettico ed antiossidante del vino.
Fonte: Enol. Vito Mezzapelle
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